La rivoluzione di grassi e oli: cambiano le indicazioni per la salute ma la scienza è sotto accusa

6 febbraio 2017 – Speciani Attilio

La domanda più importante è capire come mangiare per stare in salute, ma subito dopo nasce spontanea una domanda sulla fiducia da dare alle istituzioni. Per fortuna alla fine la coerenza dei dati e del metodo scientifico applicato, anche se tardivamente, emergono sempre, ma per quanto riguarda l’effetto di alcuni grassi alimentari sulla salute si è aperto un dibattito importante per il fatto che alcuni dati fondamentali per capire il rischio dato dai livelli di lipidi nel sangue, sono stati nascosti per anni, impedendo ad esempio di comprendere appieno il ruolo del colesterolo nella salute umana. 

Ma è meglio andare con ordine. Negli ultimi due anni le certezze relative alla divisione dei grassi in “buoni e cattivi” hanno subito qualche scossone. Molte delle convinzioni che hanno guidato finora le scelte terapeutiche e preventive si sono rivelate quanto meno imprecise se non del tutto errate. La prima considerazione riguarda i grassi saturi, che sono risultati molto meno dannosi del previsto e a fronte di studi come quello pubblicato nel 2015 da De Souza sul BMJ si è evidenziato che una volta effettuata una correzione dei valori sulla base del colesterolo di partenza, il rischio del loro uso è molto scarso. È bene ricordare che il British Medical Journal (BMJ) è una delle tre riviste mediche più autorevoli al mondo e questo pensiero ci deve accompagnare anche nella comprensione di quanto sta avvenendo nel dibattito scientifico in corso. I veri “colpevoli” sono infatti gli acidi grassi trans (tra cui ricordiamo gli oli cotti, anche se provengono da oli polinsaturi) che hanno definito in modo inequivocabile un aumento del rischio cardio vascolare (20%) e globale da tutte le cause (40%) in chi li consumi. Il lavoro di De Souza sancisce senza mezzi termini, grazie alla analisi aggregata di numerosi lavori scientifici precedenti, che i grassi trans (usati per anni nell’industria alimentare in quantità ingenti e tuttora utilizzati in molte preparazioni di uso comune nonostante un iniziale cambiamento di rotta) sono dei veri e propri “killer”, mentre i grassi saturi provenienti ad esempio dalla carne, dal burro o dai formaggi non sono così dannosi come si è sempre cercato di proporre. Intorno a questi risultati si è scatenata una battaglia tra scienziati, lobby e giornali, anche perché questo lavoro mina in un certo senso le “basi” del pensiero anticolesterolo e del supporto all’uso delle statine, ma nonostante le sollecitazioni, il BMJ ha mantenuto, su solide basi scientifiche, il sostegno alla validità del loro lavoro e non ha mai ritirato il lavoro dalla pubblicazione. Non neghiamo che questa posizione è simile a quella che abbiamo da sempre sostenuto: che un po’ di burro crudo, sciolto su una pasta integrale sia salutare, mentre un olio polinsaturo cotto a lungo per preparare cracker e biscotti sia invece dannoso. Per chi abbia voglia di approfondire (in inglese) il dibattito che ne è nato, può essere interessante leggere le discussioni pubbliche intervenute nei mesi successivi, attraverso un articolo di Neal Barnard pubblicato sull’Huffington Post e un articolo di Nina Teicholz pubblicato sullo stesso BMJ nel settembre 2015 (Teicholz N. BMJ 2015;351:h4962). Ma il tema più rilevante è stato quello sollevato dopo queste discussioni con la pubblicazione da parte di Ravnskov nel giugno 2016 su BMJ Open di una meta-analisi effettuata su tutti i lavori che indicavano che un alto valore di LDL (il colesterolo cattivo) fosse responsabile dell’aumento della mortalità cardiovascolare (qui l’articolo originale completo), scoprendo che dopo i 60 anni la mortalità per tutte le cause, compresa quella per malattie cardiovascolari, non appare significativamente correlata con i livelli di colesterolo (Ravnskov U et al, BMJ Open. 2016 Jun 12;6(6):e010401. doi: 10.1136/bmjopen-2015-010401) e che, anzi, un livello di colesterolo LDL elevato è un indicatore di una sopravvivenza maggiore. Esattamente il contrario di quanto sostenuto fino ad ora da molti “teorici delle statine ad ogni costo”Si tratta di una ricerca effettuata da universitari e ricercatori di tutto il mondo che pone addirittura seri dubbi sulla “ipotesi colesterolo” fino ad oggi ritenuta valida. La loro revisione, applicata a quasi 70.000 persone, ha confermato che il colesterolo LDL, oltre i 60 anni, può essere addirittura un elemento favorevole per la sopravvivenza. Se pensiamo a tutti gli anziani italiani che prendono statine come “obbligo” per innalzamenti a volte molto modesti del colesterolo nascono riflessioni pesanti. Siamo di fronte a una vera rivoluzione concettuale. Inoltre, in questo dibattito, si è inserito come un fulmine a ciel sereno anche il lavoro di Ramsdenpubblicato anch’esso nel 2016 sempre sul BMJ, che segnala che la riduzione dei livelli di colesterolo ottenuta durante il Minnesota Coronary Experiment (studio degli anni 70 che coinvolse longitudinalmente circa 10.000 persone) non ha minimamente modificato il rischio di mortalità da eventi cardiovascolari (Ramsden CE et al, BMJ 2016; 353 doi: http://dx.doi.org/10.1136/bmj.i1246).  Si tratta di una ricerca estrapolata da studi di coorte prolungati e importanti di qualche anno prima (come appunto il citato MCE), in cui si evidenzia che alcuni dati specifici di quelle ricerche sono stati tenuti nascosti pubblicando solo i dati relativi ad una certa “teoria dei grassi” e non i dati completiSignifica che fin dagli anni 80 l’ipotesi colesterolo poteva essere messa in dubbio e discussa in modo più approfondito, ma i dati reali, quelli visti sulle persone e non sui topi, non sono stati pubblicati. O almeno, dell’intero lavoro sono stati pubblicati solo alcuni risultati, ma non quelli che andavano contro al “mercato delle statine”. 

I lavori di Ramsden segnalano che:

  • L’assunzione di grassi saturi non era associata con la mortalità da tutte le cause, né con quella da malattie cardiovascolari né con quella da ictus o da diabete di tipo 2.
  • La relazione tra mortalità da aterosclerosi cardiaca e grassi saturi era dubbia.
  • L’uso di grassi trans (margarine e oli cotti) era associato con un aumento di mortalità da tutte le cause e da aterosclerosi cardiaca, ma non specificamente da infarto o diabete tipo 2.
  • I grassi trans industriali, ma non quelli derivanti da ruminanti, erano associati con la mortalità da aterosclerosi cardiaca.

Il dibattito quindi è tuttora aperto, soprattutto perché la posizione scientifica che contrasta l’ipotesi colesterolo ha molti dati dalla sua, ma dall’altra parte, ad esempio, chi definisce le linee guida rifiuta di prenderli in considerazione e anche nello scorso novembre 2016 sono state proposte linee guida internazionali ancora legate alle vecchie convinzioni, pur smentite da molti fatti, senza nemmeno mettere “in nota” qualche ragionevole dubbio. Veerman, uno dei responsabili scientifici del BMJ, ha invece pubblicato un articolo molto saggio in cui, ripercorrendo la storia di quanto avvenuto (comunque difficile da digerire per chi crede nella Scienza), propone una visone cauta su tutto il tema esprimendosi con queste parole: «I benefici della scelta di grassi polinsaturi piuttosto che saturi sembrano essere meno certi di un tempo. In attesa di maggiore chiarezza dovremmo continuare a mangiare e a suggerire agli altri di farlo, più pesce, più verdure, più frutta e più cereali integrali. Dovremmo evitare sale, zucchero, grassi trans industriali ed evitare di mangiare troppo» (Veerman JL, BMJ 2016;353:i1512).

In sintesi quindi:

  • I grassi saturi, banditi per anni, risultano meno dannosi del previsto.
  • I grassi trans industriali come le margarine e i grassi saturi cotti sono altamente dannosi e purtroppo ne mangiamo, a livello industriale, in ingenti quantità almeno dal 1948, quando si è scoperta la estrazione a caldo e a pressione dai semi oleosi e gli oli sono stati tutti (o quasi) idrogenati.
  • Il fatto che i risultati di alcuni importanti lavori effettuati su decine di migliaia di persone siano stati tenuti nascosti al mondo scientifico per anni ha sicuramente generato qualche perplessità nel mondo dei ricercatori e dei medici.
  • La scienza ha dalla sua il rigore metodologico che porta, presto o tardi, e in questo caso tardi, a potere comprendere cosa sia successo e quale sia la strada giusta da seguire.

Le indicazioni che suggeriamo ai nostri pazienti hanno sempre evitato posizioni categoriche cercando, su base scientifica, risposte equilibrate. La scienza ci sta dando ragione. Buon segno per il futuro, anche se il dibattito è evidentemente ancora aperto.

Fonte: https://www.eurosalus.com/colesterolo/La-rivoluzione-di-grassi-e-oli-cambiano-le-indicazioni-per-la-salute-ma-la-scienza-e-sotto-accusa

L’insulina ed il colesterolo

8 novembre 2018
Francesco Ciani

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Un altro dogma della salute pubblica è la quantità di colesterolo nel sangue. Molte ricerche hanno confermato che persone con quantità troppo alte di Ldl (cattive, perché ricche di colesterolo), di solito hanno anche problemi di aterosclerosi e cardio circolatori. Anche in questo caso, la medicina ufficiale ha fatto le indebite deduzioni: “ + colesterolo + malattie cardiocircolatorie”, quindi “ – colesterolo – malattie cardiocircolatorie”. Infatti il consiglio che viene dato più spesso è di diminuire i cibi ricchi di colesterolo (uova, carne rossa, grassi). Vi ricorderete che il 90% del colesterolo è prodotto dal fegato, il quale in base alla quantità di colesterolo ingerito nel pasto, integra la differenza necessaria al nostro corpo. Maggiore è la quantità assunta con la dieta e minore sarà quella prodotta dal fegato. E viceversa (questo è il motivo dell’infondatezza nel suggerire di mangiare non più di tre uova la settimana, perché contengono troppo colesterolo).

Ci siamo mai chiesti perchè un corpo così perfetto come il nostro, ad un certo punto incominci a produrre troppo colesterolo?

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Il corpo utilizza il colesterolo per produrre diversi ormoni (oltre alle membrane delle cellule) e quindi una loro sovrapproduzione, può rendere necessario un aumento di colesterolo nel sangue. Uno di questi ormoni è appunto il cortisolo (ormone dello stress, composto interamente da colesterolo).

A questo punto dovremo domandarci: perché il nostro fegato incomincia a produrre troppo colesterolo?

Ricorderete che uno degli strumenti dell’insulina, per ridurre il glucosio nel sangue, è la produzione delle Vldl da parte del fegato. Queste lipoproteine, una volta scaricato il carico di acidi grassi agli adipociti [1] si trasformano in Ldl. Inoltre l’insulina induce la produzione di colesterolo da parte del fegato per sopperire alla imminente richiesta di produzione ormonale causata dal calo glicemico. Infatti il colesterolo è il materiale usato dalle ghiandole surrenali, per produrre il cortisolo (rialzando il livello di glucosio nel sangue). Tale azione alza momentaneamente la quantità di colesterolo, ma il problema più grave deve ancora venire.

Che cosa succede quando passate due ore da un pasto a base di carboidrati, ci viene di nuovo fame e facciamo un altro spuntino a base di carboidrati?” (esempio dopo la colazione segue lo spuntino delle 11). Attiviamo di nuovo l’insulina, che inibisce la produzione di cortisolo e quindi il colesterolo prodotto a tale scopo, rimane nel sangue. Ovviamente di questo non se ne parla. Anzi ci consigliano vivamente di mangiare meno uova.

L’insulina e i trigliceridi

L’analisi del numero dei trigliceridi nel sangue è un altro parametro della medicina tradizionale per predire chi avrà problemi cardiocircolatori. I trigliceridi sono tutti uguali e fanno tutti male allo stesso modo? È stato dimostrato che popolazioni come gli esquimesi (che mangiano quantità di grasso quattro volte superiori alle nostre), pur avendo un numero di trigliceridi molto alto, praticamente non soffrono di malattie cardiocircolatorie. Lo stesso accade per altre popolazioni indigene in diverse parti del mondo. Perché ciò è possibile? Ancora una volta la medicina ufficiale ha applicato deduzioni errate, ovvero “ + grasso + trigliceridi + malattie cardiocircolatorie” e quindi “grasso trigliceridi malattie cardiocircolatorie”. Difatti negli ultimi trenta anni, il mondo ha fatto la guerra ai grassi (diminuendone del 30% l’utilizzo), per promuovere i cibi light e, nonostante ciò, le malattie cardiocircolatorie sono aumentate del 100%, l’obesità del 500% e non per colpa dei grassi, bensì dei carboidrati.

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Vediamo perché. Quando ingeriamo dei grassi nell’intestino, tramite i villi intestinali, li scomponiamo in acidi grassi, producendo i chilomicroni, i quali percorrono le vie linfatiche, immettendosi nel flusso sanguigno. Tali lipoproteine rilasciano gli acidi grassi alle cellule, che ne fanno richiesta e solo in ultimo, se la quantità di lipoproteine rimane eccessiva nel sangue, consegnano agli adipociti il grasso in eccesso (presente nel sottocutaneo). Rilasciato il grasso, i chilomicroni svuotati sono riciclati dal fegato. Inoltre quest’organo utilizza le parti proteiche dei chilomicroni per produrre le lipoproteine Hdl (quelle buone).Questo perchè, le Hdl hanno il compito di recuperare il colesterolo dalle cellule (e dalle Ldl), e riportarlo nel fegato, per poi essere trasformato in bile. Necessaria a scomporre i grassi nell’intestino. Un sistema assolutamente perfetto ed equilibrato. Che cosa succede quando invece mangiamo carboidrati?

 

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Vi ricorderete che l’insulina ordina al fegato di trasformare il glucosio in trigliceridi, reintroducendoli nel flusso sanguigno sotto forma di lipoproteine Vldl. Tali lipoproteine, una volta distribuiti i trigliceridi alle cellule adipose (quelle sensibili all’insulina), si trasformano il Ldl (considerate cattive) aumentando il numero di quelle circolanti. Inoltre queste lipoproteine hanno un tempo maggiore di permanenza nel sangue, subendo l’ossidazione da parte del glucosio, quindi aumentano il rischio delle malattie aterosclerotiche. Purtroppo per noi, la nostra evoluzione genetica non ha previsto una sovrapproduzione di Ldl di tale portata, perché il carboidrato era un alimento sconosciuto nella dieta ancestrale.

Fonte: https://successclubprofessional.com/2018/11/08/linsulina-ed-il-colesterolo/

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Note:

[1] adipociti è il termine con cui gli studiosi identificano le cellule del tessuto adiposo, oggi meglio conosciuto come organo adiposo. Gli adipociti sono cellule particolarmente adatte all’accumulo di grassi, che immagazzinano all’interno di grandi gocce lipidiche occupanti gran parte del volume cellulare. La prima funzione degli adipociti consiste quindi nell’accumulo di grasso, per poi eventualmente cederlo all’organismo in caso di necessità. [Fonte https://www.my-personaltrainer.it/fisiologia/adipociti.html%5D.